Le biomasse legnose a fini energetici in italia: uno sleeping giant?

Le biomasse legnose a fini energetici in italia: uno sleeping giant?
a Università di Padova, Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali (Tesaf)
b Università di Padova, Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali

Introduzione

L’International Energy Agency ha definito le biomasse uno “sleeping giant” (letter. “un gigante dormiente”) facendo riferimento alle grandi potenzialità che il settore ricopre nello sviluppo delle energie rinnovabili. La possibilità di espandere in maniera significativa tali fonti energetiche nei paesi occidentali sono oggetto di valutazioni contrastanti (Berndes e Hansson 2007; Berndes et al., 2003; Bonari et al., 2009), mentre nel terzo mondo il ruolo giocato dalle biomasse è stimato, a seconda dei paesi, tra il 30 e il 90% dell’offerta totale di energia (IEA Bioenergy, 2010).
Il settore delle biomasse ha un ruolo strategico nella politica italiana delle energie rinnovabili: secondo il Piano di Azione Nazionale (PAN) approvato nel giugno 20101 in attuazione della Direttiva 28/2009, le biomasse dovrebbero diventare entro il 2020 le prime rinnovabili in Italia, coprendo il 44% dei consumi di rinnovabili (20% dell’elettricità; 58% del calore; 84% dei biocarburanti), per un totale di 22,3 M tep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio). Tra le biomasse, un ruolo prioritario è quello coperto dai prodotti legnosi. Scopo di questo lavoro è valutare criticamente il ruolo attualmente ricoperto e che le politiche energetiche nazionali vorrebbero far ricoprire alle biomasse legnose, verificando se queste possono essere effettivamente identificate in uno “sleeping giant” da svegliare e attivare. Si cercherà quindi di collegare i dati sui consumi con quelli della produzione biologica (l’incremento annuale di biomassa dei boschi italiani), della produzione interna (i prelievi boschivi e le altre fonti di biomasse legnose) e del commercio internazionale, verificando se esiste una logica di coerenza tra i diversi dati disponibili e, quindi, se la programmazione di settore poggia su una chiara visione delle variabili in gioco.

Stock di biomassa forestale e incrementi

Secondo i dati dell’Inventario Nazionale delle Foreste e del Carbonio (INFC) resi pubblici dal Corpo Forestale dello Stato (www.infc.it), il volume di fusto e rami grossi nei quasi 8,8 milioni di ettari (ha) di boschi italiani è pari a 1.269 M m3 (mediamente 144,9 m3/ha). L’INFC fornisce il dato relativo all’incremento corrente totale delle foreste. Esso al 2005 è stato stimato pari a 35,9 M m3; l’incremento corrente medio è di 4,1 m3/ha (2,83% di incremento percentuale).
In base ai dati dell’Inventario, l’arboricoltura da legno è estesa su una superficie di 122.252 ha. Il 45,3% di queste aree si concentrano nelle due sole regioni della Lombardia e del Veneto. Questo dato inventariale ha sorpreso qualche analista dal momento che l’arboricoltura da legno sembrava poter essere più estesa alla luce degli interventi di finanziamento pubblico realizzati a partire dal Reg. 2080/1992 e della dinamica autonoma della pioppicoltura padana. Va, tuttavia, rilevato che il dato inventariale coincide quasi esattamente con quello rilevato nell’indagine ISTAT sulla struttura e le produzioni delle aziende agricole nel 2005 (121.873 ha)1. Secondo il Quinto Censimento dell’Agricoltura dell’ISTAT al 2000 la superficie era di 162.652 ha.
Rimane la considerazione generale che le risorse forestali italiane sono costituite per la grande parte da formazioni semi-naturali e che la dinamica di crescita della superficie forestale legata a nuove piantagioni sembrerebbe a partire dal 1990 molto limitata. Nonostante che da almeno due decenni si siano attivate misure per l’espansione delle produzioni legnose tramite piantagioni artificiali e il “fuori foresta”, gli esiti concreti di tali politiche in termini di crescita dell’offerta sembrano molto limitati.

I prelievi interni di legname

Le attività di utilizzazione boschiva, in base ai dati registrati dall’ISTAT e pubblicati da EUROSTAT, sono molto contenute e, dai primi anni ‘80, sono caratterizzate da un trend negativo per la componente dei prelievi di legname da industria compensato da un trend positivo per quella relativa alla legna ad uso energetico. Le utilizzazioni boschive di legna da ardere al 2009 (ultimo dato disponibile - Tabella 1) sono state stimate pari a 4,9 M di m3, il 65,7% dei prelievi totali (7,6 M m3); tale percentuale è andata aumentando negli ultimi anni, segno di un processo di despecializzazione delle produzioni di legname verso quelle di minor valore assoluto e a minor valore aggiunto finale (Figura 1): nel 1973 il 43,8% della produzione nazionale era di legname ad uso energetico, mentre attualmente la composizione dei prelievi registrata dall’ISTAT è tornata a valori analoghi a quella dei primi anni ’60.

Tabella 1 - Prelievi di legna ad uso energetico in alcuni paesi dell’Unione Europea, superficie boscata e prelievi medi

Fonte: nostre elaborazioni su dati EUROSTAT e ISTAT (dati per l’Italia)

Figura 1 - Prelievi di legna ad uso energetico e di legname da industria in Italia (1960-2009; in m3)

Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT e, per il 2009 e 2010, EUROSTAT

Rispetto alla media dell’Unione Europea i dati relativi dei prelievi ad uso energetico in Italia sono di poco inferiori: nell’UE nel 2009 si sono prelevati 0,49 m3 per ettaro di superficie boscata, in Italia 0,46 m3/ha, tuttavia in altri paesi i prelievi di legname da industria sono, anche in termini quantitativi, la parte più significativa della produzione forestale. Si tenga presente che la lavorazione di legname da industria comporta la creazione di quantità significative di scarti (dal 30 al 50% in media rispetto al totale lavorato) che possono avere una destinazione energetica. Nell’utilizzo del legname in foresta non esiste, quindi, una condizione di forte conflitto nelle destinazioni finali, mentre esiste una sinergia tra lavorazione industriale di legname e produzione di scarti, valorizzabili anche a fini energetici. E’ comunque molto significativo il divario nella produttività nei prelievi per la destinazione diretta energetica tra l’Italia e, ad esempio, la Francia (1,64 m3/ha) e la Germania (0,77 m3/ha).
Sui dati di fonte ISTAT precedentemente citati si basano i rapporti annuali predisposti dall’ENEA relativi all’andamento del settore delle rinnovabili e le stime del Piano di Azione Nazionale (PAN). Questi dati, già nel “Primo congresso nazionale: Il legno nelle attività economiche del paese” del 1981, sono stati ritenuti fortemente sottostimati. Diversi studi e indagini negli anni ’90 hanno evidenziato tale sottostima (Ciccarese et al., 2003; Cutolo, 2000; Magnani, 2005). Più di recente Corona et al. (2007) hanno effettuato un confronto tra le superfici tagliate a raso di cedui in alcune regioni centro-meridionali rilevate tramite immagini satellitari ad alta risoluzione e quelle riscontrate dall’amministrazione forestale e pubblicate dall’ISTAT; il rapporto tra le due stime è stato calcolato pari a 1,45. Si può facilmente ipotizzare che alla sostanziale sottostima delle tagliate pubblicate dall’ISTAT corrisponda una sottostima delle quantità effettivamente prelevate.
Forse anche per questi problemi di qualità dei dati, l’ISTAT negli ultimi due anni ha interrotto la pubblicazione dei dati sui prelievi (quantità e valore), analogamente a quanto ha fatto per le superfici forestali e per i dati relativi ai prodotti forestali non legnosi (si vedano le annotazioni nel capitolo “Le produzioni forestali” in INEA, 2010). Si potrebbe fare dell’ironia affermando che chi volesse trovare dati sull’offerta interna di biomasse legnose degli ultimi anni rischia di addentrarsi in una “selva oscura”.

Prelievi e consumi correttamente stimati?

Una verifica di coerenza dei dati ISTAT è possibile in base ad almeno due tipi di confronti: con i dati di altri paesi in condizioni simili a quelle italiane e con i dati sui consumi interni di biomasse legnose a fini energetici (Pettenella e Ciccarese, 2009).
Per il primo tipo di confronto si può fare riferimento alla tabella 2 dove sono riportati per paesi dell’UE i dati relativi alla produzione di energia primaria da biomasse solide2. Come risulta evidente dai dati dell’ultima colonna, l’Italia (i cui dati sono ricavati dalle fonti ufficiali precedentemente ricordate) sembra avere dei livelli di produzione energetica pro capite significativamente inferiori a quelli di altri partner europei: la Grecia ha una produzione pro-capite superiore del 52% a quella italiana, la Spagna più del doppio, la Francia ben più del triplo, il Portogallo più di 6 volte di quella italiana. Si tratta di dati che contrastano in forma macroscopica con l’evidenza empirica.
Un secondo tentativo di verifica della qualità dei dati può essere effettuato in base ad un confronto tra produzione e consumi di biomasse legnose a fini energetici. In effetti questo confronto deve essere fatto con cautela: i consumi sono infatti condizionati anche dalle importazioni ed esportazioni di biomassa a fini energetici; queste ultime sono per l’Italia insignificanti, mentre le importazioni sono, come si vedrà in seguito, di una certa rilevanza. Un altro fattore che rende il confronto non semplice è legato alla possibilità di impiego energetico del legname derivante dalla raccolta di prodotti a fine ciclo di vita (ad esempio gli imballaggi).
Hellrigl (2002a), citando le indagini campionarie sui consumi ad uso residenziale effettuate dall’ENEA nella seconda metà degli anni ’90 (Gerardi et al., 1998; Gerardi e Parrella, 1999), ha ipotizzato un livello di consumi tra il 1997 e il 1999 tra i 16 e i 20 M t all’anno. Questi dati, se assunti nelle stime nazionali, consentirebbero di raggiungere livelli di produzione e consumo coerenti con quelli di altri paesi europei (Hellrigl, 2002b).
Un’indagine effettuata dall’ARPA Lombardia e APAT sui consumi di legna da ardere ed uso domestico in Italia ha stimato al 2006 un consumo ad uso residenziale di 19,1 M t (APAT-ARPA Lombardia, 2007)3. Assumendo un coefficiente di conversione di 1 m3 = 0,5 t (Mantau et al., 2010), i consumi residenziali stimati in 16-20 M t risulterebbero nel range di 32-40 M m3.

Tabella 2 - Consumi di energia primaria da biomasse solide nei paesi dell'UE nel 2009 (tep/abitante)

Nota: i dati in tep, di fonte EurObserver (2010), sono stati convertiti in m3 con il coefficiente 4,76 (Mantau et al., 2010)
Fonte: EurObserver (2010)

A tali consumi vanno sommati quelli relativi all’utilizzo delle biomasse forestali negli impianti di produzione di energia elettrica e di cogenerazione4. Infine dovrebbero essere conteggiati anche i consumi relativi agli impianti termici che non rientrano nelle due categorie di consumi sopra ricordati: reti di riscaldamento, impianti collettivi per la produzione di energia termica, industrie del legno.
Antonini e Francescato (2010) hanno recentemente stimato un consumo di cippato di circa 1,8 M t nei 45 grandi impianti per la produzione di energia elettrica (450 MWe), di 0,41 M t negli 86 impianti di teleriscaldamento (per un totale di 400 MWt, in 18 casi con applicazioni cogeneranti - 13 MWe) e 0,38 M t nelle minireti di 5 regioni (Piemonte, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Toscana).
I dati dell’importazione di biomasse in Italia, facendo riferimento agli assortimenti destinabili a fini energetici (legna da ardere, cippato, scarti della lavorazione di legname) sono relativamente limitati, se confrontati con i valori totali dei consumi residenziali. Tuttavia essi risultano rilevanti in termini assoluti per prodotti che dovrebbero avere una trasportabilità molto limitata, dato il valore per unità di peso e di volume (senza fare considerazioni dal punto di vista energetico, che pur sarebbe importante effettuare). Dall’analisi delle statistiche internazionali di fonte FAO risulta che l’Italia è il primo importatore mondiale di legna da ardere e il quarto di cippato e scarti in legno (Tabella 3). Nel 2009 sono stati importati 0,95 M m3 (0,48 M t) di legna da ardere e carbone di legna5 (+22,0% rispetto all’anno precedente) e 1,4 M m3 (0,7 M t) di cippato e scarti in legno. Va, comunque, tenuto presente che tali quantità vengono impiegate anche per la produzione di pannelli di particelle, di fibre e, in misura minore, per paste ad uso cartario (Gargiulo e Zoboli, 2007).

Tabella 3 - Primi dieci importatori di legna da ardere e di cippato e scarti in legno nel 2008 e 2009 (m3)

Fonte: nostre elaborazioni su dati FAOSTAT

Un analogo problema legato alla doppia destinazione (energia o pannelli) caratterizza un’altra fonte rilevante di biomasse legnose: il riciclaggio di imballaggi e di altri prodotti a fine ciclo di vita in legno: in base ai dati RILEGNO [link], il consorzio nazionale di settore, nel 2008 sono stati avviati al riciclo 2,72 M t di prodotti legnosi (a cui vanno sommati 0,56 M t come saldo netto tra export e import), nel 2009 2,60 M t (con 0,52 M t di import al netto dell’export).
La figura 2 riporta in uno schema di sintesi i flussi di biomasse legnose a fini energetici e le relative stime effettuate in base all’utilizzo delle fonti di documentazione sopra richiamate. Il quadro conoscitivo è evidentemente incompleto (non è nota, ad esempio, la quantità di scarti delle lavorazioni industriali impiegate a fini energetici), non dettagliato (ad esempio non è nota la quota parte dell’importazione di cippato e residui utilizzati nella filiera energetica), e riferito non ad un anno specifico ma genericamente ai dati medi annuali del periodo 2005-09. Per consentire un confronto su basi omogenee i dati sono stati tutti convertiti in tonnellate in base ai coefficienti già ricordati, la cui assunzione è anch’essa una fonte possibile di errore nelle stime.

Figura 2 - Schema di sintesi i flussi di biomasse legnose (valori orientativi medi annui per il periodo 2005-09)

Fonte: nostre elaborazioni sui dati delle fonti informative citate nel testo

Una nuova stima dei consumi di biomasse legnose a fini energetici

Come si evince dai dati sopra richiamati, sembra esserci un significativo gap tra l’offerta interna e il consumo di biomasse legnose in Italia. Nel tentativo di verificare le stime dei consumi di biomasse legnose ad uso energetico si è proceduto con un approccio totalmente diverso da quello alla base dei dati riportati nelle pagine precedenti: sono stati analizzati i dati (ritenuti più affidabili di quelli italiani) relativi ai consumi in alcuni paesi dell’Unione Europea pubblicati in due autorevoli studi di settore:

  • “Wood energy in Europe and North America: a new estimate of volumes and flows” di F.Steierer, M.Francoeur, J.Wall e K.Prins (2007);

  • “Resources availability and demands, national and regional wood resource balances 2005” di U.Mantau, F.Steierer, S.Hetsch, K.Prins (2008).

I due studi forniscono informazioni solo per i paesi che, su base volontaria, sono stati in grado di collaborare nella raccolta di informazioni sui consumi di biomasse legnose. Lo studio di Steierer et al. (2007) riporta, grazie alla collaborazione tra l’UNECE/FAO Timber Section e l’International Energy Agency, i risultati del secondo Joint Wood Energy Enquiry (JWEE), un’indagine sviluppata tramite dettagliati questionari che ogni paese è stato invitato a compilare. Lo studio di Mantau et al. (2008) fornisce una stima autorevole dal momento che è stata oggetto, prima della pubblicazione definitiva dei dati, di una verifica da parte delle autorità nazionali interpellate. Ciò che differenzia i due studi da altre indagini è che entrambi si basano su un modello di bilancio totale e integrato delle biomasse legnose che cerca di fornire un quadro completo di tutte le possibili fonti di approvvigionamento di legna a fini energetici; infatti questo modello tiene conto delle più svariate fonti di biomasse ad uso energetico, comprese quelle importate (al netto dell’esportazione), gli scarti legnosi industriali e il legname a fine ciclo di impiego. I dati riguardanti il consumo di legna da ardere derivanti dai due studi sono stati elaborati con regressioni multiple cross-country cercando di individuare le variabili esplicative statisticamente significative. In particolare i test sono stati effettuati con le seguenti variabili:

  • produzione interna lorda (banca dato on line della World Bank6);

  • area rurale calcolata con la metodologia OCSE e pubblicata nel Rural Development Report 2008 (DG-ARD, 2008);

  • popolazione rurale calcolata con la metodologia OCSE (DG-ARD, 2008);

  • popolazione di aree di elevato livello di urbanizzazione calcolata con la metodologia Eurostat (2007);

  • area territoriale pubblicata nel Forest Resources Assesment della FAO (2005);

  • stock di biomassa forestale secondo la stessa fonte (FAO, 2005);

  • numero totale di abitanti (FAO, 2005);

  • dimensioni della superficie forestale (Eurostat, 2007).

Le funzioni che meglio hanno permesso di rappresentare i consumi nazionali di biomasse legnose a fini energetici sono riportate nella tabella 4.

Tabella 4 - Coefficienti stimati nelle due regressioni

Fonte: dati e assunzioni riportati nel testo

Utilizzando l’equazione basata sui dati di Steierer et al. (2007), il consumo totale del combustibile legnoso in Italia è stato stimato in circa 23,0 M m³ (11,5 M t). La stima totale di 23,0 M m³ è un valore medio se confrontato con gli altri risultati ottenuti nell’indagine JWEE, mentre il consumo pro capite (0,4 m³) rimane abbastanza contenuto rispetto alla media in altri paesi europei (vd. Tabella 2). Utilizzando l’equazione derivata dai dati di Mantau et al. (2008), la stima sui consumi di combustibile legnoso è pari a 16,5 M m³ (8,3 M t).

Considerazioni conclusive

Le stime relative ai consumi nazionali basate sulle due funzioni di regressione (par. 4) confermano sostanzialmente le valutazioni precedentemente riportate sulla base di diverse fonti informative (par. 3). Queste stime portano a ritenere che le assunzioni fatte nel Piano di Azione Nazionale (PAN) relative al baseline siano fortemente sottostimate: la produzione lorda di energia da biomasse solide al 2020 di 5,2 M tep ipotizzata nel piano è probabilmente un obiettivo già raggiunto: i consumi attuali stimati nel range di 18-22 M t non sono facilmente traducibili in tep in quanto bisogna fare riferimento al potere calorifero inferiore (pci) dei diversi combustibili legnosi in funzione degli impianti in cui sono utilizzati. In base alle elaborazioni presentate nella tabella 5, una stima approssimata porta a valutare in 6,7 M tep la produzione attuale complessiva di energia da biomasse legnose. Il piano nazionale dovrebbe quindi forse rivedere assunzioni e previsioni programmatiche per meglio definire le opportunità di sviluppo della prima fonte di energia rinnovabile del paese.

Tabella 5 - Un tentativo di stima delle produzioni energetiche italiane basate sull’impiego di biomasse legnose

* pci = potere calorifico inferiore
** assumendo 1 tep = 11,63 MWh
Fonte: dati e assunzioni riportati nel testo

Le biomasse legnose in Italia più che uno “sleeping giant” potrebbero quindi essere definite come un “hidden giant”. Evidentemente, per una corretta programmazione energetica, questo “gigante nascosto” dovrebbe essere meglio definito e monitorato.
Recentemente a livello europeo, e ancora con maggior forza a livello nazionale, i rappresentanti dell’industria dei pannelli in legno hanno lamentato condizioni di difficoltà nell’accesso alla materia prima a conferma che le quantità di biomasse legnose in gioco siano molto più rilevanti di quanto ufficialmente stimato e che esistono crescenti problemi di scarsità relativa. In un recente comunicato congiunto Federlegno-AIEL7 si afferma che “il maggior fattore di distorsione del mercato della materia prima legno negli ultimi anni, che ha portato nel 2010 oltre a una forte tensione sui prezzi, anche a un aumento delle importazioni di legname superiore al 20%, e superiore al 38% per i pannelli a base legnosa (Dati Centro Studi FederlegnoArredo/Cosmit) è stato prodotto dalle grandi centrali elettriche alimentate a biomassa, in grado di consumare centinaia di migliaia di tonnellate/anno di biomasse legnose, e che spesso sono destinate alla sola produzione di energia elettrica. Queste stesse grandi centrali, con un meccanismo di incentivi disegnato dal decreto in esame (il decreto legislativo di attuazione della direttiva 2009/28/CE – NdA) che prevede una tariffa fissa per energia prodotta legato addirittura ai costi di approvvigionamento, rappresentano il fattore critico che può incidere sul prezzo della materia prima in modo marcato, provocando una straordinaria distorsione del mercato e una sicura carenza di materia prima legnosa, senza per altro creare alcun effetto positivo sulle imprese forestali locali”. Sono osservazioni che devono fare riflettere i decisori pubblici.
Alla luce di queste considerazioni, e delle stime che le supportano, le valutazioni recentemente pubblicate nell’ampio studio di Mantau et al. (2010) relative alla presenza al 2010 di una potenzialità economica di produzione di biomasse legnose in Italia di 82,7 M m3 a fronte di una domanda di 29,7 M m3 con un surplus di 53 M m3 sembrano basate su dati e assunzioni molto carenti. Utilizzare tali dati, e le proiezioni al 2020 e 2030 di questo autorevole studio finanziato dalla Commissione europea, rischia di far cadere dalla pentola alla brace la capacità di programmazione economica relativa allo sviluppo delle filiere del legno in Italia.

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  • 1. Vd. [link]
  • 2. “Biomasse solide” è il termine utilizzato da EurObserver per definire le biomasse legnose, ivi comprese quelle derivanti da scarti di lavorazione industriali e da parti legnose di piante agrarie (ad esempio il nocciolino). La gran parte delle biomasse solide per produzioni energetiche è comunque costituita da legna da ardere da formazioni forestali.
  • 3. Queste indagini sono confermate da studi realizzati per ambiti territoriali più circoscritti: nel 1988, l’Istituto di Sociologia Rurale ha stimato un consumo delle famiglie rurali di collina e montagna in 17,8 M t (circa 5,7 M tep). Un’indagine commissionata nel vercellese da parte di ENEA, per gli anni 1984-85, ha messo in evidenza che, con l’esclusione delle zone urbanizzate, l’83% delle famiglie usava legna per il riscaldamento, che il 53% di queste usava solo legna e che il 64% si approvvigionava, quanto meno per una parte del proprio fabbisogno, direttamente in bosco. Nell’indagine condotta da Marazzi et al. (2006) per conto della Fondazione Lombardia per l’Ambiente si sono stimati i consumi di legna da ardere da parte delle famiglie lombarde, usando un campione di 32.500 nuclei familiari. L’indagine condotta in Lombardia ha impiegato criteri di stratificazione sulla base dei medesimi parametri dell’indagine CIRM. Estrapolando i risultati su scala nazionale si ottiene un consumo complessivo di biomasse per fini energetici pari a 22,6 M t, ovvero, adottando una umidità media del 20% e una densità basale media di 600 kg/m3, 30,2 M m3. Interessante anche il dato di fonte Istat (2008), del 7% delle famiglie italiane che al 2007 utilizzano legna (o carbone e coke) come combustibile prevalente.
  • 4. Per questi consumi una fonte indiretta è rappresentata dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE) che presenta statistiche sui contributi pubblici erogati per tali produzioni (Certificati verdi e CIP6) (GSE, 2010?). Il rapporto annuale dell’ENEA sulle rinnovabili presenta dati sostanzialmente in linea con quelli del GSE. In effetti i dati riportati dal GSE non distinguono tra biomasse forestali e biomasse di altra origine, ma Pari (2006) ha ipotizzato che nei primi anni del secolo le biomasse forestali abbiano rappresentato il 50% dei consumi di tali impianti; dai dati del GSE (2010?) le biomasse solide risultano aver contributo alla produzione di energia elettrica per il 46,0% nel 2008 (2.746 GWh) e il 37,1% nel 2009 (2.828 GWh) sul totale delle biomasse.
  • 5. I dati per il carbone sono espressi in tonnellate, trasformate in metri cubi usando un fattore pari a 6,0.
  • 6. [link]
  • 7. Il Comunicato è disponibile nei siti [link] e [link]
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